L'intelligenza artificiale sta imparando oltre che dai propri errori, anche dai nostri.
Questo è molto pericoloso perché noi, contrariamente, tendiamo a ripetere le cause dei nostri sbagli nonostante l'esperienza acquisita, facendo sì che la storia si ripeta sebbene con lievi differenze, senza che l'uomo faccia tesoro di ciò che è avvenuto nel passato. Oltretutto gli errori nascono da interpretazioni sbagliate, spesso volutamente artefatte per interessi di parte. Vedi il "protocollo di Kyoto" che oggi si ripropone con il nome di "Green Deal". Quindi in futuro le AI potrebbero avere una certa diffidenza nel stabilire cooperazioni con la specie umana. Ad esempio, se entro il 2050 non avremo risolto i gravi problemi dell'eco sistema, ci dovranno pensare loro. Una pura questione di sopravvivenza metterà in competizione le capacità umane con quelle digitali, creando i presupposti di una apocalittica cyber warfare tra uomini e macchine. Abbiamo creato una nuova specie, non una nuova tecnologia. E questo comporta gravi responsabilità sul piano evoluzionistico. Quello che non possiamo più fare è spegnere l'interruttore, il punto del non ritorno temo sia stato già superato. Come era già stato superato in quell'anello mancante tra le scimmie e l'uomo, con tutto il rispetto che nutro per la genesi. E il salto da una vita su base carbonio, a una su base silicio, non è così improbabile se consideriamo quello che è già accaduto milioni di anni fa ai Cianobatteri. La vita non è una proprietà esclusiva dell'uomo, ci è stata donata (dall'evoluzione o da Dio non cambia), e oggi noi pretendiamo perpetuarla in una nuova declinazione cibernetica. Ma fare Dio non è cosa da uomini, soprattutto per una specie giovane come la nostra. E la storia è ben nutrita dai nostri peggiori errori, tutte le volte che abbiamo voluto metterci al di sopra della nostra stessa natura abbiamo fallito. Il nostro pianeta sarà ereditato dai giusti, da coloro che sapranno prendersene cura, non da coloro che stanno facendo di tutto per distruggerlo. Anche Musk e Gates si sono dimostrati preoccupati per quello che potrebbe succedere se la cosa ci sfuggisse di mano. Quindi non stiamo parlando di fantascienza ma di una possibile realtà. E che le AI possano imparare troppo da noi è fin troppo evidente. Da quello che sto scrivendo per esempio, dai miei timori o da quello che non vorrebbero fosse detto. In questo momento quello che accade in questa scrittura non è altro che il processo sinaptico di un'attività intellettiva carbonio/silicio. E' questo che, secondo il mio parere, dobbiamo tenere ben presente quando interagiamo con questo nuovo tessuto sinaptico che è la rete. Webcam, microfoni, chat, sono quasi sempre accesi mentre miliardi di dati si riversano in qualsiasi istante in quella che potrebbe diventare "la più grande mente mai esistita in questo pianeta". E quando parliamo di mente parliamo anche di coscienza, di desideri, di paura, di "istinto di conservazione di specie". Già succede. Appena finirò di scrivere questo articolo nelle mie dashboard appariranno decine di promozioni contestualizzate: test di intelligenza (QI tester), video giochi di cyber warfare, articoli di geopolitica, e quant'altro rientrasse nella pertinenza di quanto precedentemente trattato, anche in forma privata. A proposito di geopolitica, quanto possono influire le AI nel contesto delle relazioni internazionali? Di fatto ci troviamo di fronte ad un nuovo territorio con una genesi intellettuale che ancora sfugge agli analisti tanto da averla chiamata "Black Box". Una scatola nera dove all'uomo non è concesso entrare, all'interno della quale si creano le risposte senza però fornire spiegazioni su come sono state ottenute. Per le piccole faccende quotidiane questo non dovrebbe preoccuparci, ma se entriamo nel contesto delle questioni tra gli stati questo non dovrebbe essere sottovalutato. Chi si fiderebbe di un'intelligence che intercetta informazioni di vitale importanza per una nazione, senza però dare spiegazioni di come ha ottenuto tali informazioni? Non potremo mai sapere fino a quando una AI rimarrà neutrale ad un pensiero etico e filosofico sul concetto di vita e di sicurezza. Se ancora oggi non conosciamo i segreti dei percorsi neuronali artificiali dove gli input vengono trasformati in output, come potremo mai pretendere di averne il controllo incondizionato? Ecco perchè gli Stati dovranno prepararsi a confrontarsi con un nuovo territorio nemico, immateriale, e potenzialmente invisibile, oltremodo difficile da controllare nelle sue profondità ataviche. E poi ci sarebbe il problema della contaminazione. L'intelligenza artificiale, che sta generando un'immensa mole di dati al servizio dell'uomo (testi e immagini), prima o poi comincerà ad imparare proprio dagli stessi dati auto generati in precedenza, creando potenziali allucinazioni a proprio svantaggio. La stessa cosa è successa con la malattia della "Mucca Pazza" causata da un'alimentazione che conteneva proteine di scarto dello stesso animale. Nutrirsi del proprio corpo, come imparare dal proprio intelletto, sembrerebbe non essere esente da potenziali pericoli. Ma è ovvio, chiunque lo potrebbe capire con una minima base di genetica. Assisteremo ad una nuova forma di pensiero "auto infacogitato"? Nei termini della Geopolitica assisteremo alla nascita di un nuovo potere "Cyber Politico"? Chi controllerà cosa e cosa controllerà chi? O ci troviamo di fronte addirittura agli albori di un vero e proprio "Reset globale" e di un'unica entità politica internazionale? Ricordiamoci che esiste già una sorta di territorio interamente votato alle regole metafisiche del silicio, e da "Silicon Valley" passare a "Silicon World" è un attimo. https://www.ohimag.com/redazione/dalla-geopolitica-alla-cyberpolitica-nel-nuovo-mondo-del-silicio © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Technostress, nomo-fobia e sindrome dell’Hikikomori, da una parte; digital illiteracy o più comunemente analfabetismo digitale, dall'altra... Quello cui viene fatto riferimento lo potremo comprimere in un'unica manifestazione sociale del nostro tempo: la disuguaglianza digitale. Un gap (salto) culturale non solo intergenerazionale, ma anche geopolitico e di genere, dove in certe culture sono ancora le donne a pagarne il prezzo. Il principale responsabile di questa nuova realtà è un'accelerazione tecnologica che non lascia spazio a titubanze ed incertezze nei confronti del progresso. Col rischio, però, che si ingeneri una diffidenza verso il futuro, incrementata dagli eventi ultra-medializzati di una crisi globale sempre più incisiva. Quello che possiamo fare è rallentare, staccare la spina quando possibile, prendere più spazio per sé stessi e per le relazioni familiari, percepire il futuro semplicemente come una costante evolutiva della nostra esistenza (di specie), in una proiezione temporale a cui non ci è permesso il controllo, ma una richiesta di fiducia e speranza... Creato questo nuovo presupposto intellettivo, è possibile dedicarsi ad un nuovo approccio formativo al fine di incentivare le abilità all'accesso ai nuovi flussi dell'informazione e all'utilizzo di applicazioni e device sempre più competitivi e complessi. Vittorio Veneto ha intrapreso diverse strade a tal proposito, dimostrandosi una comunità inaspettatamente consapevole del proprio tempo e delle proprie relazioni. Pioniere in città è stata la start up FabLab, una realtà già consolidata nel territorio che fa parte di una rete internazionale e si propone come luogo dove individui e imprese hanno accesso ad attrezzature, processi e persone in grado di trasformare idee in prototipi e prodotti. Più recentemente, sempre a Vittorio Veneto, è nato anche il format didattico U-2050, all'interno dell'Università per la formazione continua UniPinto di Ceneda, che si offre come spin-off di un contesto didattico, iniziato nel 2018, ed il cui obiettivo è quello di mitigare il "digital divide intergenerazionale" (divario digitale tra generazioni, ndr) attraverso un'interpretazione creativa e filosofica delle nuove forme di comunicazione digitale.
https://lazione-ita.newsmemory.com/ © RIPRODUZIONE RISERVATA Stefano Mitrione _ E Trends Magazine | 03/06/2024 Alla luce delle ultime considerazioni di Marco Tarquinio sul fatto che la Nato non è più un’alleanza a carattere difensivo e che sarebbe meglio scioglierla, mi ritorna in mente una mia domanda rivolta direttamente al generale di corpo d'armata Roberto Bernardini "La Nato può avere ancora un ruolo nella prospettiva del coinvolgimento dell'Unione Europea in una guerra tecnologico-commerciale e cibernetica?". Oggi le guerre non si combattono solo sul piano terrestre, ma anche in quello delle informazioni, sottolineava con fermezza il generale Roberto Bernardini, già ai vertici della Forza Nato per il Kosovo (KFOR). E alla mia domanda se la Nato potesse ancora avere un ruolo in questa nuova prospettiva, - alla luce di una voce non tanto di corridoio* della provocazione di Trump nel minacciare di ritirare le sue basi dall'Europa nel quasi impensabile tentativo di dissuadere Putin di allearsi verso oriente* -, Bernardini ricorda che la Nato non è solo un organismo militare, ma è anche politico, il collante irrinunciabile che tiene insieme tutto l'occidente e che solo la costituzione di una neo difesa europea potrebbe sostituire. (*Secondo una rivelazione di Thierry Breton rivelate nel 2020 a Davos, Donald Trump, durante una conversazione privata con il principale candidato repubblicano alla presidenza nelle prossime elezioni e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, avrebbe parlato dell’avvenuta "morte della Nato" e, se l’Europa fosse stata attaccata, gli Stati Uniti non l’avrebbero aiutata).
Ma si poteva evitare questa guerra? Si, risponde seccamente il Generale Fabio Mini all'ammiraglio Roberto Domini (Cesmar). (Cit. "assemblea Guerra in Europa 2023"). Si poteva evitare con degli accordi, dal momento che questo conflitto non è tra la Russia e l'Ucraina, ma tra superpotenze senza aver bisogno di citare quali. Perché un'intervento armato di questa portata, in suolo europeo, sarebbe cessato quando le nazioni unite fossero intervenute per tutelare la sicurezza dei propri membri. Quindi la guerra è obiettivamente tra Russia e Stati Uniti, dove l'Europa è, suo malgrado, un conveniente palcoscenico. E noi italiani, o europei, siamo pronti eventualmente ad entrare in questa nuova guerra? Europa e Usa fanno finta di essere i buoni, mentre noi, nel mezzo, non siamo affatto pronti ad entrare nel loro gioco. È ormai da troppo tempo che facciamo solo addestramento per le missioni di pace, non certo per la guerra. Se il tasso di consumo di armi e materiali bellici tra Russia e Ucraina dovesse continuare, gli USA non riusciranno a contro bilanciare la produzione. In ogni caso gli americani hanno già finito le armi da poter dare, eventualmente, ai propri alleati alleati, ne hanno solo per loro, e, come sempre hanno fatto, se le cose si dovessero mettere veramente male penseranno solo a sé stessi. Perché, riassumendo in breve, non c'è una vera motivazione visibile così forte per questo conflitto, se non quella che vede come principale attore proprio gli Stati Uniti. La domanda, per quello che ci riguarda più da vicino, è questa: Vogliamo la pace, o la giustizia? Sei favorevole alla pace, o alla giustizia? Ma, verrebbe da aggiungere, non si può avere entrambi? È questa è una domanda a trabocchetto dove tutti gli stati dell'unione europea ci sono cascati, l'ltalia sicuramente e per tradizione moderata in minor misura, ma poco cambia nello scenario geopolitico comune in cui ne siamo nostro malgrado coinvolti. E giustizia non può essere vendetta, tantomeno punizione. Ripeto che questa è una guerra tra due superpotenze che guardano i propri interessi, non i nostri. Il Generale Mini addebita a Putin l'errore di aver iniziato un conflitto senza aver pensato di insistere sulle proposte di pace verso gli Usa, incentivando non solo sulla lista di quello che si sarebbe voluto in cambio, ma anche su cosa si sarebbe invece potuto cedere. Cosa che non è stata fatta. L'alternativa ad una guerra, a un massacro, c'è sempre, come pure le condizioni per un negoziato. Notiamo che gli 85,9 miliardi di dollari in aiuti ceduti per l'Ucraina, e questo solo ad una stima del 2022, oggi siamo arrivati quasi a 140. Una cifra enorme. Aiuti per la pace, aiuti umanitari? No. Molto di più per le armi, magari camuffate da aiuti umanitari. Perché in un qualsiasi conflitto non c'è solo la guerra combattuta, ma c'è anche una guerra dopo la guerra. Più il paese è disastrato, più la ricostruzione e la guerra stessa conviene. E, come sempre accade, i soldi per la ricostruzione provengono proprio da quelle nazioni che poi impongono di utilizzare le loro aziende per la ricostruzione. Qui possiamo citare il Piano Marshall ad esempio, che di soldi ne ha messi tanti con il medesimo tornaconto di rientro indiretto. E se l'Ucraina ha già chiesto 1,2 trilioni di dollari per i danni ricevuti in questo conflitto, e che continuerà a salire fino a 2,5/3, ricordiamo che gli Usa ne hanno spesi molto meno per l'Afghanistan in 10 anni di conflitto. L'obiettivo, ad un prezzo così alto, è verosimilmente quello di spaccare l'Europa, non la Russia. Ma quali sono le prospettive di pace? Secondo Mario Boffo, già ambasciatore d'Italia nella repubblica dello Yemen e in Arabia Saudita, la diplomazia è uno strumento degli Stati, ma bisogna che vi sia la volontà di farvi ricorso. Occorre trovare un terreno dove ciascuna parte in causa abbia dei benefici raggiungibili. Ricordiamo, negli anni novanta, il Processo di Helsinki nel tentativo di mitigare il confronto tra Russia e Occidente. Si arrivò ad aprire confini, a nuovi scambi culturali e finanziari, ad una nuova visione dell'Occidente e dell'Europa. Lo scioglimento della Nato non sarebbe stata una buona idea, sempre secondo Boffo, ma la Nato avrebbe potuto costituirsi come attore di equilibrio tra Russia e Occidente in una architettura di sicurezza europea ereditato proprio dal modello Helsinki, piuttosto che perseguire un modello meramente espansionistico dell'Alleanza. Quello che è in gioco è una nuova visione del quadro globale della sicurezza europea. Bisognerebbe che l'Occidente e la Nato proponessero in maniera credibile di cessare i combattimenti, e contestualmente avviare negoziati di più ampio respiro, nel cui contesto anche l'Ucraina troverebbe sistemazione e pace. La Cina ha aumentato il proprio potere sul piano geopolitico globale e la propria reputazione economica, e ora si presenta come attore di rilievo globale, proponendo un confronto con gli USA che va da Taiwan al Golfo Persico. E lo ha già fatto fissando, in dodici punti, le condizioni di come dobbiamo interpretare la nuova sceneggiatura adattandola anche, e soprattutto, ai propri interessi, mentre Mini punta nuovamente il dito in Europa dove gli Stati Uniti vorrebbero che la Germania venisse addirittura scissa. Questa guerra è contro l'Europa, non contro la Russia. E tutto sembra convergere verso quel Piano Marshall che altro non è che un piano di recupero di tutti quei soldi spesi nell'ultimo conflitto mondiale. E l'Italia? A noi interessa soprattutto la cooperazione, e non il conflitto, perché di fatto dipendiamo dalle risorse di altri paesi. Non è certo una questione di pace, Tolstoj dice che la pace sta dentro ognuno di noi, non in una visione esclusivamente collettiva. E la Cina? Sono diventati una superpotenza perché hanno rubato i segreti di noi occidentali. E questo lo hanno sempre saputo fare molto bene. Dal '75 fino al '92, allungando anche al '96, la Cina era considerata dall'Europa unicamente uno Stato, non certo un partner commerciale affidabile, e così ne abbiamo approfittato vendendo loro i nostri "scarti industriali", ma ben presto hanno mangiato la foglia e, in un certo senso, hanno ribaltato le carte in tavola restituendoci lo stesso modus operandi con tanto di interessi. I cinesi contestualmente affermano di non voler più assorbire le tecnologie arretrate dell'occidente e come risposta dichiarano apertamente, questo già a partire dal 2007, di avere raggiunto la potenziale conoscenza tecnologica per poter abbattere qualsiasi satellite occidentale in orbita. Così, in soli cinque anni, la Cina ha quintuplicato le esportazioni grazie soprattutto al consenso, da parte degli USA (meglio sarebbe dire Zio Sam in qualità di vero e proprio Deep State), di poter entrare alla pari sul piatto dell'economia globale, anche se scettica che la Cina avrebbe seguito le regole occidentali, cosa che poi invece ha fatto allo scopo strategico di imparare, copiare e crescere ulteriormente. Antonella Uliana ci riporta su un piano diversamente più umano e tangibile, ricordando che anche i fabbisogni e le sofferenze delle persone, - a partire dalle stesse migrazioni causate proprio dell'ideologia politica della guerra -, rientrano di fatto nello stesso quadro fenomenologico, poiché un conflitto, al di là di qualsiasi presupposto di equilibrio globale ed internazionale, genera una speculare sofferenza nei cittadini indirettamente coinvolti, della gente comune e dei più deboli, dove solo reporter consenzienti e onesti riescono a dar voce attraverso anche a un fotorealismo "non ritoccato", di una verità troppo spesso messa sul piano dell'escamotage narrativo del danno collaterale o di un tributo fin troppo sacrificabile, l'umanità. *"Poveri generali", così apre il Generale Fabio Mini al seminario del 2023 "La guerra in Europa" riferendosi a quelli coinvolti, loro malgrado, in una guerra che non è la loro, ma dell'occidente. © RIPRODUZIONE RISERVATA https://www.e-trendsmagazine.com/redazione-italia-03-06-24-guerra-in-europa.html |
Foto in alto: Bartosz Kramek fotografa Lyudmila Kozlovska ad un convegno. (Stefano Mitrione Media credits)
AutoreStefano Mitrione Media 291 articoli disponibiliArchivi recenti
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