Pietro, studente di giurisprudenza all'università di Bologna, ci spiega come il degrado sociale della città ha subito un'impennata già a partire dagli anni successivi alla pandemia. E più precisamente a partire dal 2022, quando la povertà e il disagio sociale che ne è derivato si sono dimostrati più incisivi in una città dominata da cantieri inoperativi, vagabondaggio e criminalità. Soprattutto nelle vie centrali ai bordi della Bologna bene e dello shopping, ma anche alla stazione centrale, uno strato sociale infimo di non trascurabile entità demografica, si prepara per superare la notte tra cartoni, piaghe, e droga. I negozianti non lo vogliono davanti alle loro vetrine ed ecco spuntare appuntite piramidi d'acciaio nel massetto di marmo antistante, mentre l'amministrazione comunale provvede con panchine pubbliche dotate di braccioli anti bivacco. Le mense della Caritas non riescono a soddisfare la domanda sempre più crescente di un fenomeno ormai fuori controllo. E qui siamo a Bologna, in una città tutto sommato tranquilla, non certo una delle popolose metropoli dove la situazione è sicuramente peggiore. Pietro non esce più di casa dopo il coprifuoco, il centro dopo le 20 si appresta a trasformasi in un campo di battaglia. Pietro però non è un ragazzo come molti, quelli con l'auricolare e lo smartphone che preferiscono l'assenza e la cecità sociale. Lui preferisce Tolstoj, un pantalone principe di Galles uscito da chissà quale substrato della moda, e un paio di occhiali alla Potter. Una preda più che un predatore. A difenderlo è il suo senso dell'osservazione, non gli sfugge niente neppure la più piccola screpolatura della pelle di chi è costretto a vivere nel freddo della notte. Più volte mi chiedo se sono io a intervistare lui o lui a profilare me. Chi non vive nelle città non può accorgersi di quello che negli ultimi due anni sembra aver subito un'accelerazione. Chi vive nei piccoli borghi vede una realtà ben diversa quindi fa di tutto per difenderla, non volendo accettare che il mondo sta cambiando radicalmente indipendentemente dagli stereotipi tecnologici della mobilità e della transizione energetica in generale. Il suo piccolo mondo è un abito sartoriale cucitogli addosso, funziona così bene che ne rifiuta il cambio. E per giustificarsi addita i media colpevoli di distorcere la realtà dei fatti, quella realtà che a lui va bene così. "Tutto bello", recita il claim di una pubblicità di streaming calcistico; "Insegui i tuoi sogni" recita un'altro di automotive. Questi sono i media che ci drogano, non il giornalismo. Altro che fentanyl; a noi tossicoccidentali bastano quattro parole in croce a convincerci di comprare il panettone dello chef o un pandoro colore rosa. Poi quel "io non seguo le mode", "non mi vaccino perché..." o "diesel per sempre", è solo un tentativo come un altro per sentirsi meno colpevoli, meno occidentali, meno carnivori, meno ipocriti. E invece lo siamo tutti: lo stereotipo della pecora fuori dal gregge andrebbe proprio a cozzare con il concetto stesso di società civile e dorata che tanto abbiamo sposato. Tu non lo sei? Guardati attorno, osserva ogni minimo dettaglio di quello che possiedi o che stai ancora pagando, e ora immagina tutto quello che ti circonda oltre le mura domestiche. Tutto questo è peggio del fentanyl. © RIPRODUZIONE RISERVATA VERSIONE EDITORIALE
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Foto in alto: Bartosz Kramek fotografa Lyudmila Kozlovska ad un convegno. (Stefano Mitrione Media credits)
AutoreStefano Mitrione Media 291 articoli disponibiliArchivi recenti
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