Stefano Mitrione 16/05/2025
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"Democrazia Teleguidata"
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Se il sogno di Internet era la disintermediazione, dove tutti possono comunicare direttamente tra loro, oggi si potrebbe parlare di reintermediazione, un modello in cui non sono più le persone, ma i media a dialogare.
Le grandi compagnie digitali – Google, Meta, SpaceX, TikTok – nate come startup, sono diventate monopoliste nei rispettivi settori. Questo è il vero futuro digitale: ogni azienda punta a creare qualcosa di nuovo e insostituibile da monopolizzare. La libertà di concorrenza non esiste più, o meglio, non deve esistere, perché in un mondo dominato dall’efficienza, solo il monopolio è vincente.
Ma per comprendere questa evoluzione, dobbiamo ripartire dalla storia della comunicazione umana. Dall’epoca dell’oralità, in cui la parola conquistò il primato nelle relazioni, si passò alla scrittura, dalle sacre scritture ai libri, ai giornali, fino ad arrivare a Internet. Quest’ultimo non è solo uno strumento, ma una vera e propria era, la terza, che stiamo vivendo da almeno vent’anni.
Eppure, paradossalmente, dal punto di vista comunicativo, stiamo regredendo verso un linguaggio iconografico, un’adorazione delle immagini e di un’informazione troppo veloce per essere assimilata correttamente.
«È curioso», osserva Mauro Barberis, docente di diritto all’Università di Trieste e autore di Come salvare la Democrazia da Internet, «vedere come le Big Tech siano cresciute vicino a università come Stanford, attingendo alla psicologia cognitiva per rendere i loro prodotti irresistibili.» Un meccanismo perfetto per creare macchine finanziarie basate sulla pubblicità. Perché se Internet ci appare come lo strumento più democratico al mondo, in realtà lo paghiamo a caro prezzo, cedendo dati personali, contenuti e immagini. È l’industria più redditizia della storia.
E la politica, nell’era digitale, ne ha ricalcato il modello. Se funziona per la pubblicità commerciale, perché non dovrebbe funzionare per quella politica? Barack Obama, il primo presidente "nero" – come lo definisce Barberis con tono quasi dissacrante – a vincere grazie a Internet, ha segnato un precedente. Quando Donald Trump chiese all’allora CEO di Twitter, Jack Dorsey, come superare l’engagement di Obama, la risposta fu lapidaria: «Semplicemente inarrivabile per uno come lei.»
L’unica chance per Trump, allora, è stata giocare la carta opposta: «Se lo sa usare un energumeno come me, lo può fare chiunque», «Sono il più scemo del villaggio, quindi sono uno di voi». Barberis sottolinea come, paradossalmente, l’unico modo per combattere il populismo sia adottarne i cliché – ma solo nelle orazioni, non nei libri.
Oggi i giovani preferiscono corsi sull’intelligenza artificiale ai noiosi programmi universitari. Perché memorizzare, se esistono Google e Wikipedia? Internet è un mezzo rivoluzionario senza precedenti, e chi vuole governare il mondo non può ignorarne le dinamiche. Viviamo in un ambiente in cui tutto sembra concatenato da trame occulte, in cui l’unico innocente è l’utente, lobotomizzato e teleguidato – termine che aggiungo con piacere, perché calza a pennello.
«Ma cos’è la democrazia? Il fatto che tutti possano votare?», prosegue Barberis. No, la democrazia dovrebbe anche garantire la separazione dei poteri. Oggi è facile criticare l’Unione Europea, che, pur con i suoi difetti, resta un baluardo democratico. L’alternativa? Putin, o l’estremismo della cancel culture, che rischia di soffocare il dibattito sotto pretesti ideologici.
«Non possiamo permettercelo», avverte Barberis. Questa non è più la democrazia per cui è stata concepita: un sistema in cui le decisioni rispecchiano la volontà popolare.
Ma la volontà popolare, come ho sostenuto anche in dibattito con Barberis, deve essere informata da una conoscenza reale, non da una comprensione superficiale e emotiva. Non si può governare solo con meme e slogan. La democrazia è altro: votare non significa essere liberi. La libertà non si negozia al primo click, alla prima notizia letta di fretta su un social.
Il problema non è l’offerta democratica, ma la cultura, sommersa in un mare di informazione e disinformazione che si confondono in un gioco di specchi distorti. Una "democrazia teleguidata" (che potrebbe generalizzarsi in "politica teleguidata"), dove masse spaesate si aggrappano all’ultimo slogan, all’ultima notizia virale. Una coercizione di massa che trasforma la politica in una partita di tifo, nascondendo giochi di potere ben più complessi.
«Come salvare la Democrazia da Internet», riecheggia il titolo di Barberis. Democrazia e Internet dovrebbero essere separati, ma la colpa non è tutta della rete. Uno strumento è neutro: dipende dall’uso che se ne fa. E l’intelligenza artificiale, così potente e veloce, richiede controlli rigorosi – soprattutto in democrazia.
Le grandi compagnie digitali – Google, Meta, SpaceX, TikTok – nate come startup, sono diventate monopoliste nei rispettivi settori. Questo è il vero futuro digitale: ogni azienda punta a creare qualcosa di nuovo e insostituibile da monopolizzare. La libertà di concorrenza non esiste più, o meglio, non deve esistere, perché in un mondo dominato dall’efficienza, solo il monopolio è vincente.
Ma per comprendere questa evoluzione, dobbiamo ripartire dalla storia della comunicazione umana. Dall’epoca dell’oralità, in cui la parola conquistò il primato nelle relazioni, si passò alla scrittura, dalle sacre scritture ai libri, ai giornali, fino ad arrivare a Internet. Quest’ultimo non è solo uno strumento, ma una vera e propria era, la terza, che stiamo vivendo da almeno vent’anni.
Eppure, paradossalmente, dal punto di vista comunicativo, stiamo regredendo verso un linguaggio iconografico, un’adorazione delle immagini e di un’informazione troppo veloce per essere assimilata correttamente.
«È curioso», osserva Mauro Barberis, docente di diritto all’Università di Trieste e autore di Come salvare la Democrazia da Internet, «vedere come le Big Tech siano cresciute vicino a università come Stanford, attingendo alla psicologia cognitiva per rendere i loro prodotti irresistibili.» Un meccanismo perfetto per creare macchine finanziarie basate sulla pubblicità. Perché se Internet ci appare come lo strumento più democratico al mondo, in realtà lo paghiamo a caro prezzo, cedendo dati personali, contenuti e immagini. È l’industria più redditizia della storia.
E la politica, nell’era digitale, ne ha ricalcato il modello. Se funziona per la pubblicità commerciale, perché non dovrebbe funzionare per quella politica? Barack Obama, il primo presidente "nero" – come lo definisce Barberis con tono quasi dissacrante – a vincere grazie a Internet, ha segnato un precedente. Quando Donald Trump chiese all’allora CEO di Twitter, Jack Dorsey, come superare l’engagement di Obama, la risposta fu lapidaria: «Semplicemente inarrivabile per uno come lei.»
L’unica chance per Trump, allora, è stata giocare la carta opposta: «Se lo sa usare un energumeno come me, lo può fare chiunque», «Sono il più scemo del villaggio, quindi sono uno di voi». Barberis sottolinea come, paradossalmente, l’unico modo per combattere il populismo sia adottarne i cliché – ma solo nelle orazioni, non nei libri.
Oggi i giovani preferiscono corsi sull’intelligenza artificiale ai noiosi programmi universitari. Perché memorizzare, se esistono Google e Wikipedia? Internet è un mezzo rivoluzionario senza precedenti, e chi vuole governare il mondo non può ignorarne le dinamiche. Viviamo in un ambiente in cui tutto sembra concatenato da trame occulte, in cui l’unico innocente è l’utente, lobotomizzato e teleguidato – termine che aggiungo con piacere, perché calza a pennello.
«Ma cos’è la democrazia? Il fatto che tutti possano votare?», prosegue Barberis. No, la democrazia dovrebbe anche garantire la separazione dei poteri. Oggi è facile criticare l’Unione Europea, che, pur con i suoi difetti, resta un baluardo democratico. L’alternativa? Putin, o l’estremismo della cancel culture, che rischia di soffocare il dibattito sotto pretesti ideologici.
«Non possiamo permettercelo», avverte Barberis. Questa non è più la democrazia per cui è stata concepita: un sistema in cui le decisioni rispecchiano la volontà popolare.
Ma la volontà popolare, come ho sostenuto anche in dibattito con Barberis, deve essere informata da una conoscenza reale, non da una comprensione superficiale e emotiva. Non si può governare solo con meme e slogan. La democrazia è altro: votare non significa essere liberi. La libertà non si negozia al primo click, alla prima notizia letta di fretta su un social.
Il problema non è l’offerta democratica, ma la cultura, sommersa in un mare di informazione e disinformazione che si confondono in un gioco di specchi distorti. Una "democrazia teleguidata" (che potrebbe generalizzarsi in "politica teleguidata"), dove masse spaesate si aggrappano all’ultimo slogan, all’ultima notizia virale. Una coercizione di massa che trasforma la politica in una partita di tifo, nascondendo giochi di potere ben più complessi.
«Come salvare la Democrazia da Internet», riecheggia il titolo di Barberis. Democrazia e Internet dovrebbero essere separati, ma la colpa non è tutta della rete. Uno strumento è neutro: dipende dall’uso che se ne fa. E l’intelligenza artificiale, così potente e veloce, richiede controlli rigorosi – soprattutto in democrazia.
Genovese, docente di diritto a Trieste, è autore di 35 libri, 300 saggi e troppi articoli su “gli altri” di Rosanna Benzi, l’“Unità” di Antonio Padellaro, il “Mulino” di Nicola Matteucci e Piero Ignazi. Editorialista del “Secolo XIX”, condirettore dei “Materiali per una storia della cultura giuridica” e di “Ragion pratica”, è anche responsabile scientifico del convegno annuale “Convivere con Auschwitz”. Pluralista, la sua unica convinzione è che, quando si parla al pubblico, tutto è permesso tranne che annoiare.
Una domanda a Mario Barberis
S.M.: Internet, libertà di parola, libertà di opinione, ma: Internet è uno strumento, lo è stato la scrittura, uno strumento del pensiero come lo è appunto Internet. Quindi a scuola ti insegnavano a scrivere prima di parlare, prima di esprimere un concetto, perché prima di utilizzare uno strumento complesso come lo è Internet le scuole dovrebbero insegnarlo ad usare.
Internet sta diventando una sorta di democrazia teleguidata, chiunque può scrivere qualsiasi cosa e convincere di conseguenza un'altra persona, e con Internet si sta presto a convincere intere masse. Abbiamo visto cosa è successo con il voto di Trump, addirittura sfociato con una lotteria a premi da un milione di euro. Si sta generalizzando il voto in una sorta di gioco. Quindi non parliamo più di una volontà critica dell'elettore.
Internet sta deformando il concetto stesso di democrazia, la sta trasformando piuttosto in una democrazia da stadio, una democrazia teleguidata.
La democrazia è in crisi per colpa di Internet?
Internet sta diventando una sorta di democrazia teleguidata, chiunque può scrivere qualsiasi cosa e convincere di conseguenza un'altra persona, e con Internet si sta presto a convincere intere masse. Abbiamo visto cosa è successo con il voto di Trump, addirittura sfociato con una lotteria a premi da un milione di euro. Si sta generalizzando il voto in una sorta di gioco. Quindi non parliamo più di una volontà critica dell'elettore.
Internet sta deformando il concetto stesso di democrazia, la sta trasformando piuttosto in una democrazia da stadio, una democrazia teleguidata.
La democrazia è in crisi per colpa di Internet?
Mauro Barberis: Se un presidente degli Stati Uniti, della prima democrazia costituzionale al mondo alla domanda "ma lei pensa di rispettare la costituzione " risponde: bho, ma, chissà...
Ma come si fa a obbligare l'elettore a informarsi, c'era la vecchia soluzione di John Stuart Mill del voto plurimo, per cui chi ha una laurea (ma ormai le lauree si prendono anche nelle Università telematiche), il suo voto contava di più.
Ma come si fa a obbligare l'elettore a informarsi, c'era la vecchia soluzione di John Stuart Mill del voto plurimo, per cui chi ha una laurea (ma ormai le lauree si prendono anche nelle Università telematiche), il suo voto contava di più.
- Genovese, docente di diritto a Trieste, è autore di 35 libri, 300 saggi e troppi articoli su “gli altri” di Rosanna Benzi, l’“Unità” di Antonio Padellaro, il “Mulino” di Nicola Matteucci e Piero Ignazi. Editorialista del “Secolo XIX”, condirettore dei “Materiali per una storia della cultura giuridica” e di “Ragion pratica”, è anche responsabile scientifico del convegno annuale “Convivere con Auschwitz”. Pluralista, la sua unica convinzione è che, quando si parla al pubblico, tutto è permesso tranne che annoiare.
- https://www.ilfattoquotidiano.it/autori/mbarberis/
Concetti
La definizione "Democrazia Teleguidata" è particolarmente efficace e suggestiva, perché coglie due aspetti cruciali della crisi democratica nell’era digitale:
1. Pregi della definizione
2. Possibili obiezioni (e come rafforzarla)
3. Esempi per renderla concreta
4. Alternative (meno potenti?)
Conclusione
"Democrazia Teleguidata" funziona perché è un’ossimoro: la democrazia dovrebbe essere autogoverno, ma qui diventa eterodiretta. È una definizione provocatoria, analitica e adatta all’attualità, soprattutto se legata a esempi concreti di chi manovra il telecomando (Big Tech, oligarchie politiche, capitalismo della sorveglianza).
1. Pregi della definizione
- Immediatezza evocativa: Richiama l’idea di un controllo remoto, di masse manipolate da forze invisibili (algoritmi, propaganda, polarizzazione dei social).
- Critica al feticismo della partecipazione: Sfatare il mito del "più voti = più democrazia" quando, in realtà, il consenso è pilotato da logiche di engagement tossico.
- Analogia con la tecnocrazia oligarchica: Sottolinea il paradosso per cui più strumenti di comunicazione abbiamo, meno autonomia decisionale sembriamo esercitare.
2. Possibili obiezioni (e come rafforzarla)
- Determinismo tecnologico: Qualcuno potrebbe obiettare che la colpa non è di Internet, ma di chi lo usa. La risposta è già nel tuo testo:
«Uno strumento non può avere colpe, è come lo si usa che deve essere riformulato».
La "teleguida" non è nella tecnologia in sé, ma nel suo sfruttamento da parte di élite (politiche, economiche, algoritmiche). - Rischio di catastrofismo: Per evitare un tono apocalittico, si potrebbe aggiungere una sfumatura dialettica:
«La Democrazia Teleguidata non è una condanna irrevocabile, ma un monito: ci mostra cosa diventa la politica quando rinuncia alla sua funzione pedagogica, riducendosi a mera competizione di narrazioni virali».
3. Esempi per renderla concreta
- Il caso Cambridge Analytica: Microtargeting psicografico per orientare il voto con messaggi su misura, trasformando l’elettore in un pupazzo di dati.
- L’ascesa del sovranismo digitale: Leader che usano i social non per dialogare, ma per bypassare media e controllare direttamente il frame emotivo del dibattito (es. Trump, Bolsonaro, ma anche l’uso di TikTok nella politica giovane).
- L’illusione della scelta: Piattaforme che ci danno l’impressione di decidere, mentre ci incanalano in bolle filtrate (è teleguida anche quando sembriamo noi a schiacciare il tasto).
4. Alternative (meno potenti?)
- Democrazia algoritmica: Centrata sugli strumenti, ma perde il concetto di manipolazione attiva.
- Democrazia della distrazione: Deriva dal "panem et circenses", ma è troppo generica.
- Post-democrazia (Colin Crouch): Già usata, ma descrive un declino delle istituzioni, non il ruolo della tecnologia.
Conclusione
"Democrazia Teleguidata" funziona perché è un’ossimoro: la democrazia dovrebbe essere autogoverno, ma qui diventa eterodiretta. È una definizione provocatoria, analitica e adatta all’attualità, soprattutto se legata a esempi concreti di chi manovra il telecomando (Big Tech, oligarchie politiche, capitalismo della sorveglianza).
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"Mauro Barberis" - Come internet sta uccidendo la democrazia. Populismo digitale |
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